Lettera al prof. Pier Marco Bertinetto
Stimatissimo Signor Professore,
Voglia scusarmi se le scrivo in francese. L'italiano è una lingua di cui mi sono innamorato in
gioventù e la rispetto tanto che non oso toccarla, per non rischiare di recar danno alla sua
bellezza.
Come Lei sa, il dott. Chiti-Batelli mi ha mandato il Suo Elogio dell'adeguata imperfezione. Già
la lettura del titolo ha attratto la mia attenzione, perché ho la mania di annoiare le persone troppo
logiche dicendo loro che "l'imperfezione è più perfetta che la perfezione".
Spero che i commenti che mi permetto di presentarLe qui di seguito La interesseranno. Si tratta
per lo più di casi in cui c'è un divario tra ciò che Lei dice e la mia esperienza. Il mio modo di
vedere le lingue non è affatto lo stesso di quello di un linguista, è quello di un traduttore
professionale e di uno psicologo che ha lavorato in Asia e in Africa. È anche quello di una
persona immersa fin dall'infanzia nel mondo dell'esperanto. L'esperienza vissuta dell'esperanto è
senza dubbio all'origine delle mie due vocazioni: è l'esperanto che mi ha dato il gusto delle
lingue, della comunicazione interculturale e dei Paesi esotici; è pure quello che mi ha spinto
verso la psicologia, per tentare di trovare una risposta a quello che è per me, fin dall'infanzia, un
enigma intrigante: perché c'è nella società una tale resistenza a osservare l'esperanto come esso è
utilizzato in pratica, a parlarne obiettivamente e a trarre profitto dai vantaggi che offre, senza
alcun inconveniente?
La cosa più semplice è che io citi ogni volta la frase che, a mio avviso, richiama dei commenti.
Questi saranno certamente caratterizzati dalla mia soggettività. Quello che ho detto di me stesso
qui sopra Le permetterà senza dubbio di individuare quello che può esserci di non centrato nelle
mie osservazioni.
1. Ogni lingua naturale (inclusi ovviamente i dialetti) è perfetta, per il semplice fatto che è
quanto di meglio l'evoluzione abbia prodotto nel corso di molti millenni.
Questa affermazione non mi convince perché equivale a dire che tutto è perfetto e nega che il
mondo sia in corso di evoluzione, sotto certi aspetti nel senso di un perfezionamento, sotto altri
nel senso di una decadenza. Le società umane sono il risultato di un'evoluzione millenaria, ma
sono per questo perfette? Non lo credo, se si osservano quelle dove la donna adultera è lapidata,
o i bambini sono delle cose che si possono vendere, o il denaro ha un ruolo tale che distrugge la
giustizia sociale e impedisce lo sviluppo di molti. Per me - è un punto di vista di un traduttore
che ha avuto da tradurre documenti di lingue così differenti come l'inglese, lo spagnolo, il russo
e il cinese - le lingue sono diseguali: nessuna è perfetta. Alcune permettono meglio di altre una
comunicazione efficace o un'espressione dei sentimenti piena di sfumature. Alcune sono più
maneggiabili di altre. Traducendo dall'inglese in francese ho avuto molto spesso l'occasione di
vedere a qual punto la rigidità del francese era un handicap per far risaltare delle nozioni
estremamente semplici che invece l'inglese esprime con disinvoltura. Si ha d'altra parte la stessa
impressione quando si traduce in francese a partire dall'esperanto. Il francese è quindi meno
«democratico». Il semplice fatto che nei documenti ufficiali si traduca guidelines con instructions tradisce una diversa gradazione del rispetto verso l'autorità che deriva da una mancanza, da una inadeguatezza del francese. Non lo si può dire perfetto. Lei dice che le lingue: «sono tutte, per definizione, perfettamente appropriate alla funzione cui sono destinate». Io credo che si debba diffidare dei per definizione che rischiano di non tener conto dell'esperienza e quindi di essere degli a priori. Quella frase sarebbe, secondo me, più vicina alla verità, se non contenesse la parola >perfettamente. Le lingue sono adattate alla loro funzione, ma non al 100%. È proprio nella percentuale d'imperfezione che risiedono le loro differenze, che, complessivamente,
rappresentano una ricchezza incomparabile.
2. Le lingue dei popoli dediti a una vita che si svolge a stretto contatto con la natura [... ] non
hanno necessariamente maturato strumenti lessicali e sintattici atti a sdipanare le più sottili
disquisizioni metafisiche. [... ] Nulla avrebbe impedito che ciò accadesse.
Non c'è qui, come nella frase citata più sopra, una confusione tra "potenziale" e "attuale"? Nulla
avrebbe impedito (potenzialmente), "se solo si fossero create le condizioni", che l'inglese
evitasse le numerosissime ambiguità che lo caratterizzano (ci ritornerò più oltre), ma il fatto è che
le condizioni umane nelle quali la lingua si è evoluta l'hanno condotta allo stato attuale, che è
imperfetto, come mostra il confronto con altre lingue che non presentano tale handicap. Questo è
vero per tutte le lingue. Dire che sono tutte potenzialmente perfette (compreso il topinambà) non
significa che sono perfette nella loro realtà presente. Ora, nel leggerLa, questo è quello che il
lettore comprende, anche se in effetti non è esattamente ciò che Lei pensa.
3. A proposito delle lingue internazionali ausiliarie, Lei dice che «Questi idiomi sono
generalmente detti "artificiali". L'etichetta è [... ] appropriata, perché sono distillati a tavolino
[... ]; tendenziosa perché [... ] inglobano le caratteristiche costitutive di qualsiasi lingua
naturale».
Lei ha pienamente ragione. Ma nel
caso particolare dell'esperanto c'è un'altra ragione per
dire che l'etichetta è tendenziosa, se si tiene conto del
fatto che l'esperanto del 2003 non è più una lingua
distillata a tavolino. Si confonde troppo spesso l'esperanto
col progetto di Zamenhof. È come dire di un bambino che è
il prodotto di suo padre, trascurando completamente il fatto che
ha una madre. La "madre" dell'esperanto - la collettività
che lo ha utilizzato, che continua a utilizzarlo e, utilizzandolo,
lo trasforma - ha svolto un ruolo altrettanto importante quanto
quello che ha avuto Zamenhof nella nascita di tale lingua. Ci sono
delle intere frasi dell'esperanto odierno che si compongono esclusivamente
di parole o di forme che sono sorte spontaneamente, dall'uso, nel
corso degli anni e che Zamenhof forse non avrebbe compreso. Si veda
il mio articolo "Evolution
is proof of life", accessibile in www.geocities.com/c_piron.
4. A proposito degli incidenti aerei: «Già, perché se invece di fraintendersi parlando l'inglese, ci si fraintendesse parlando esperanto, moriremmo tutti più contenti?»
La mia reazione a questa frase è dolermi del fatto che - data per scontata - la Sua premessa, (la
Sua convinzione che le lingue sono perfette e quindi uguali per definizione) - Le impedisce di
percepire le loro differenze nella loro funzione comunicativa. Sono stato testimone, nel corso
della mia carriera, di tanti malintesi dovuti all'inglese e di così pochi malintesi dovuti alla
maggior parte delle altre lingue, compreso l'esperanto, che non posso essere d'accordo con Lei su
questo punto.
La fonetica dell'inglese è molto meno adatta di quella dell'esperanto (o dell'italiano, o dello
swahili o del lakota) all'uso internazionale. Per un Giapponese pronunciare l'inglese in modo da
distinguere first da third è estremamente difficile, mentre tutti gli esperantofoni giapponesi che
conosco non hanno alcun problema a pronunciare in modo perfettamente comprensibile unua e
tria. Le particolarità della pronuncia dell'inglese sono molto curiose. Praticamente tutte le lingue
del mondo, persino il cinese, che pure ha una fonetica sui generis, hanno un suono /a/ chiaro,
netto, non dittongato. L'inglese standard non ha tale suono (questa singolarità dell'inglese torna
nella scrittura: la lettera a, nell'immensa maggioranza delle lingue, corrisponde a questo suono,
persino nelle traslitterazioni ufficiali del cinese, del giapponese, dell'ebraico e dell'arabo, mentre
la a inglese traduce dei fonemi assai differenti, che vanno da /ei/ fino a /o/). Si possono
riassumere come segue gli inconvenienti dell'inglese come lingua di comunicazione
internazionale:
- troppi suoni vocalici per molti popoli che hanno nelle loro lingue solamente a, e, i, o, u: mi è
spesso capitato di rilevare confusioni con thirteen / thirty, ... nineteen / ninety, quando uno dei
parlanti proveniva da una delle regioni, maggioritarie nel mondo, la cui lingua non contiene il
suono di quella y finale (e quindi pronuncia /i/) o accentua tutte le sillabe con la medesima forza;
ora, una comprensione esatta delle cifre è molto importante quando un pilota ha solamente alcuni
secondi per reagire e quando la trasmissione non è limpida (interferenze e disturbi elettrici);
- presenza di certi suoni che i tre quarti dell'umanità non possiedono nella propria lingua madre,
come /th/ e che sono fonemi importanti (distinzione tra thick, tick , sick ecc.);
- numerose parole terminano con una sillaba chiusa; in esperanto la quasi totalità delle parole
terminano con una vocale, con una s o con una n; l'esperienza prova che questo pone nettamente
meno problemi di pronuncia e di comprensione alla maggioranza degli abitanti del nostro
pianeta;
- parole molto brevi, simili, con significati multipli (numerosi omonimi): la sillaba rait/ passa in
una frazione di secondo; durante questo breve momento il cervello deve passare in rivista una
larga gamma di significati possibili, come a) esatto; b) rettilineo; c) diritto ("avere il diritto di");
d) che ha ragione; e) il bene (right and wrong); f) riparare (un torto); g) scrivere; h) rito. Secondo
l'accento del parlante o la presenza di rumo ri di fondo, il cervello deve spesso aggiungere alla
lista delle possibilità i diversi sensi della parola light: i) luce; j) accendere; k) leggero. Certo,
nella pratica, il contesto elimina una buona parte di queste possibilità; nondimeno io ho assistito
spesso a dei malintesi dovuti all'associazione d'una grande omonimia, della brevità delle parole e
della debole differenziazione fonetica (la difficoltà di distinguere a orecchio anche parole
relativamente lunghe come biannual e biennal pronunciate con accenti asiatici non si ritrova
affatto nelle altre lingue; non esiste in esperanto, dove duonjara e dujara sono nettamente
distinte nella percezione);
- accenti locali. L'inglese di un Australiano che pronuncia today come to die, d'uno Scozzese che
crede di dire light e invece dice late, gli accenti indiano, texano o altri causano in effetti delle
confusioni che, nell'aviazione, si sono spesso rivelate drammatiche;
- un gran numero di espressioni formate da un verbo e da una o più postposizioni, in una lingua
in cui le differenziazioni sono poco marcate: si ha l'impressione che siano sempre gli stessi verbi
e le stesse postposizioni, ma i significati sono molto differenti. Si pensi al gran numero di
significati di make up, che vanno da "compensazione" a "maquillage" passando per
"elaborazione". L'ultima frase d'un pilota il cui aereo è precipitato, registrata nella famosa
"scatola nera", fu «Che vuol dire pull up?». «An accident prevention study carried out by Boeing found that, in the decade 1982-1991, pilot-controller miscommunication contributed to at least
11 percent of fatal crashes worlwide» dice David Crystal in English as a Global Language
(Cambridge: University Press, 1997, p. 101).
Questa percentuale impressionante è in relazione alle specificità dell'inglese: non solamente alla
sua fonetica, ma anche al carattere molto particolare delle frasi inglesi, in cui le relazioni devono
essere indovinate, mentre in un'altra lingua sarebbero esplicite. La collisione che, a Tenerife, ha
causato la morte di 600 persone, fu dovuta alla mancata comprensione, da parte del pilota, della
frase "Clipper 1736 report clear of runway". Sebbene io abbia vissuto negli Stati Uniti e per
parecchi anni abbia tradotto dall'inglese otto ore al giorno, non l'avrei capita neanch'io, se avessi
pilotato quell'aereo, o almeno non con la certezza che sola garantisce la sicurezza. Forse io non
sono abbastanza dotato per l'inglese, ma quali sono le probabilità che un pilota medio lo sia più
di me? Una frase in cui la funzione grammaticale delle parole sia così poco chiara è impossibile
in esperanto.
5. Quanto a semplicità, l'inglese è difficilmente battibile (p. 8).
È il Suo punto di vista e lo rispetto. Il mio è differente. Ho già fatto allusione al fatto che, per la
maggior parte degli uomini, non c'è nulla di semplice a distinguere i suoni vocalici di sucks /
sacks, sacks / sex, sex / six, siks / seeks, ecc., né ad assimilare i significati di espressioni come put
up with, go in for, get on, hear out, take to, put off, ecc. Ma l'inglese non è semplice sotto molti
altri aspetti, come testimoniano gli esempi seguenti:
- La grammatica è vaga: la polisemia dei marcatori grammaticali (-ed, -s, -ing) e di molte parole,
congiunta spesso all'assenza di marcatori grammaticali (morfemi), crea molta confusione: by
reducing gases, scritto da uno scienziato coreano, significa "per mezzo di gas riducenti" oppure
"riducendo i gas"? La patient information volunteer, all'accettazione di un ospedale, è una
persona volontaria che dà informazioni sui pazienti oppure una volontaria caratterizzata da una
grande pazienza quando dà delle informazioni? SLOW CHILDREN su un pannello in una strada
del Massachussets vuol dire "Bambini! Rallentare!" oppure "Prudenza! Bambini handicappati!".
Gli esempi sono innumerevoli nella vita di un traduttore. Se li si analizza, si vede che sono tutti
dovuti a mancanza di esplicitazione grammaticale.
- Le incoerenze sono correnti. Si dice East Africa, ma Eastern Europe, injustice, ma unjust
(confrontate con le altre lingue: in tedesco il prefisso è sempre un-, in russo sempre ne-, in cinese
sempre bu-; è più semplice avere da applicare lo stesso morfema in ogni caso). Tuttavia, sebbene
l'avverbio si formi a partire dall'aggettivo per aggiunta di -ly, I hardly worked non vuol dire "ho
lavorato duramente".
- La derivazione non solamente non è regolare, ma obbliga molto spesso a memorizzare una
radice differente: si confrontino le derivazione dent>dentiste (francese), Zahn>Zahnartzt
(tedesco), ha>haisha (giapponese), gigi>doktor gigi (malese), ya>yayi (cinese), con l'inglese
tooth>dentist. Per me, da questo punto di vista, tutte le altre lingue sono più semplici dell'inglese.
- Si può fare la stessa annotazione a proposito di king / royal, brother / fraternize, see / visual,
understand / incomprehensible, ecc. Una lingua come l'esperanto, in cui ogni derivazione è
assolutamente coerente, mi sembra molto più semplice, anche se sul piano strettamente
morfologico ci sono un po' più di forme da maneggiare. La semplicità non attiene al piccolo
numero del morfemi grammaticali, ma alla loro coerenza e al loro rendimento. (Gli Occidentali
sono poco coscienti di questo inconveniente dell'inglese perché, per definizione (!), essi
conoscono una delle due radici, essendo di lingua madre neolatina o germanica, ma per gli altri
popoli il sovrappiù di lavoro richiesto per l'assimilazione della lingua è considerevole). Spesso ci
sono due parole per il medesimo concetto (freedom / liberty), ma esse non sono interscambiabili,
ci sono delle sottili differenze d'uso praticamente impossibili a padroneggiare per i non nativi.
D'altra parte, cosa vuol dire "semplice"? L'eccessiva semplicità di struttura facilita l'uso attivo
della lingua, ma ne complica l'uso passivo, cioè la comprensione. Siccome malaria treatment e
malaria therapy hanno la stessa struttura, si potrebbe credere che le due espressioni siano
sinonime, dato che therapy si definisce (nel Webster, p. es.) come "treatment". Ora , malaria
treatment vuol dire "trattamento della malaria", mentre malaria therapy vuol dire "trattamento di
un'altra malattia mediante iniezione del parassita della malaria", "malariaterapia".
Non è semplice, secondo il mio soggettivo punto di vista, comunicare in una lingua in cui
English teacher può essere un soggetto britannico che insegna matematica, come pure un docente
d'inglese di nazionalità indonesiana. Japanese encephalitis vaccine vuol dire "vaccino prodotto in Giappone contro tutte le forme di
encefalite" oppure "vaccino che protegge contro la malattia specifica encefalite giapponese"
(l'esperanto con mezzi del tutto semplici evita l'ambiguità: japana encefalit-vakcino, japanencefalita vakcino).
Se questi argomenti La
interessano, Le segnalo il mio articolo "Learning
from translation mistakes" (www.geocities.com/c_piron),
che è il testo di una relazione che ero stato invitato a
presentare in occasione di un congresso di informatici che trattava
della traduzione elettronica.
6. Quando Lei dice che le sacche di irregolarità [...] sono ristrette a parole d'alta frequenza, che
proprio per la loro grande disponibilità finiscono ben presto per essere automatizzate, Lei
descrive senza dubbio la Sua propria esperienza. Lei ha fortuna. La mia è differente. Essendo un
giorno stato chiamato a improvvisare un discorso in inglese (lingua in cui ho qualche cosa come
40.000 - 50.000 ore di pratica), mi sono reso conto che non sapevo più qual è il passato di to
cost, e ho detto costed, che è sbagliato. Analogamente non mi ricordavo più dove cade l'accento
in alternative e in monitoring. Le mie migliaia di ore d'inglese non sono mai riuscite ad
automatizzare completamente numerosi elementi della lingua. Due dei verbi più frequenti in tutte
le lingue sono "dire" e "fare". Tuttavia l'80% degli stranieri che vivono da anni in ambiente
francofono continuano a dire vous disez e vous faisez: le forme corrette vous dites, vous faites
non si automatizzano facilmente. In esperanto questo tipo di errore è semplicemente impossibile.
7. Non si dà lingua storicamente costituita che ne sia priva [di irregolarità]
Errore. Ne esiste almeno una: il cinese (credo che il vietnamita possieda la stessa caratteristica).
Il cinese non potrebbe possedere delle irregolarità, perché si compone esclusivamente -
esattamente come l'esperanto - di elementi (in francese "monèmes", in inglese morphemes)
totalmente invariabili, che si combinano all'infinito, senza restrizioni).
8. Mi permetta di contestare anche
la tabella a p. 12. Alla riga inglese, la percentuale
della popolazione europea che la parla come seconda lingua è
indicata come 31%. Dubito fortemente che tale cifra corrisponda
alla realtà. Un'inchiesta fatta in parecchi Paesi negli anni
80 aveva dato un risultato molto differente: in Francia, circa il
25% dichiarava di saper bene l'inglese, ma solo il 3% si era rivelato
capace di utilizzarlo convenientemente quando si andava a verificarne
l'effettiva conoscenza. Un sondaggio di Lintas Worlwide ha dato
dei risultati confrontabili (6% nell'Unione Europea, vedi http://www.theatlantic.com/issues/2000/11/wallraft2.htm).
È probabile che la percentuale indicata nella tabella che
Lei riproduce non si fondi su una verifica della competenza linguistica
ma sulla risposta alla domanda "Quale lingua sapete?"
oppure "Sapete l'inglese?". Ora, la maggior parte delle
persone non ha alcuna idea del proprio livello di conoscenza delle
lingue: trovo che ve ne siano moltissimi che si sopravvalutano,
Lei dice con ragione.
9. La pretesa di insufflare la vita in un idioma che non è radicato in alcuna comunità storica [...]
Se si studia l'esperanto tal quale è parlato oggi e come esso si presenta in innumerevoli
pubblicazioni, è giocoforza concludere che non c'è alcuna ragione di volervi insufflare la vita. La
vita la possiede già in abbondanza. L'esperanto è una lingua vivente, più vivente del francese
d'oggi, tanto vivente quanto il francese del tempo di Rabelais. È normale, è una lingua giovane, e
ha dunque la forza e la flessibilità della giovinezza, come il francese del 16° secolo. Ce se ne
rende rapidamente conto se si studia l'amb iente che lo parla, se si legge la sua letteratura, se si
procede all'analisi linguistica di campioni di testi e di registrazioni di conversazioni: in breve, se
lo si consideri da linguisti o da antropologi.
10. L'adozione dell'esperanto rischierebbe comunque di restare una specie di corpo estraneo:
un'anomala lingua di superstrato, parlata soltanto dalle élites.
Se si ragiona teoricamente, questo argomento regge. Ma è interessante constatare che la
collettività che usa l'esperanto e che gli dà vita è formata generalmente da persone semplici.
Quando lavoravo in Asia orientale, avevo dei contatti in inglese con le élites e in esperanto con le
persone comuni (alle quali i miei colleghi europei o americani non hanno mai avuto accesso). E
sono precisamente le élites che hanno sempre storto il naso di fronte all'esperanto, che hanno
sparso su di esso ogni sorta di calunnie, che ne hanno bloccato la diffusione. Ora, la comunità
esperantofona continua a crescere, certo a un ritmo estremamente lento, ma con una notevole
costanza. Non è impossibile che essa raggiunga un giorno una massa critica che faccia pendere
l'opinione generale a favore dell'esperanto. Il semplice fatto che la proporzione di articoli a
favore dell'esperanto abbia superato quella degli articoli sfavorevoli, che erano ancora
maggioranza appena cinque anni fa, potrebbe confermare questa ipotesi. D'altra parte non è
impossibile che i movimenti di massa che criticano gli Stati Uniti, come si è visto nel mondo
intero prima della guerra in Iraq, siano il segno d'una evoluzione che potrebbe tradursi in una
disaffezione per l'inglese come lingua internazionale, negli ambienti non elitari. Il prestigio di
una lingua si collega al prestigio di un Paese, e gli Stati Uniti, mi sembra, sono sulla via di
perdere il loro prestigio.
11. L'esperanto, in quanto lingua inventata, non può competere sul piano dell'intrinseca
"bellezza" con le lingue storicamente costituitesi.(p. 15)
La mia impressione, certamente soggettiva, è del tutto differente. Per me, che parlo l'esperanto
dall'infanzia e che ho pubblicato in questa lingua una raccolta di poesie, numerosi racconti e una
cassetta di canzoni, l'esperanto non è meno bello di altre lingue che ho appreso. Sotto molti
aspetti è più bello. Sono ben cosciente che dire questo è eminentemente soggettivo, ma,
personalmente, trovo l'esperanto foneticamente molto più estetico dell'inglese, dell'olandese o del
danese, o, in un altro ordine di idee, del cinese. D'altra parte ci sono molte cose che posso dire in
esperanto ma che non posso esprimere con la stessa scioltezza e con la stessa soddisfazione
estetica nella mia lingua materna, il francese, perché la libertà di combinare i monemi senza
alcuna restrizione offre in esperanto una gamma di possibilità che non ha nessun'altra lingua a
mia conoscenza (anche in cinese la libertà è meno assoluta). Ho spiegato tutto questo in un
articolo pubblicato sotto il titolo «Espéranto - Le point de vue d'un ecrivain» (Le langage et
l'homme, 1987, 22, 3, pp. 266-271), difficile da trovare oggi (neanche io ne ho più delle
copie), ma disponibile in tedesco: Esperanto aus der Sicht eines Schriftstellers (Vienna: Pro
Esperanto, 1989, Internacia Esperanto-Muzeo, Hofburg, 1010 Wien 1, oppure
herbert.mayer@onb.ac.at).
12. Ciò [una fitta stratificazione di moduli espressivi] conferisce alla pagina uno spessore che
nessuna traduzione in esperanto (e, se per questo, nessuna creazione originale in esperanto)
saprebbe offrirmi.
Mi dispiace di contraddirLa ancora
una volta, ma mi baso sulla mia esperienza di ex traduttore, di
psicologo e di autore (ho pubblicato in francese come pure in esperanto
e non ho mai notato differenze di ricchezza o di espressività
tra le due lingue: ciascuna ha certo la sua propria personalità,
con le sue lacune e le sue ricchezze specifiche, ma complessivamente,
sul piano letterario, si equivalgono. Ho letto numerose traduzioni
in italiano, in francese, in inglese, in esperanto. Queste ultime
non si distaccano dalle altre per una qualità inferiore,
al contrario. Preferisco la traduzione del poema di William Brake
Tiger, tiger, burning bright... pubblicata in esperanto (Tigro,
tigro, brule brila...) alla traduzione pubblicata in francese
(Tigre, tigre, flamboyant d'ardeur...). Preferisco la traduzione
dal latino Titus Berenicem invitus invitam dimissit in esperanto
Titus malvole malvolan Berenican forsendis alla traduzione
francese: Titus, qui ne le voulait pas, renvoya Bérénice,
qui ne le désirait pas davantage. O ancora, nella canzone
jiddish Rebbe Elimelek, c'è in ogni successivo ritornello
l'argomento dei musicisti che vengono a suonare per il signore.
L'esperanto rende il testo come poche lingue potrebbero renderlo,
con un ritmo ben adattato alla melodia dell'originale: Az di
fidldike fidlers hobm fildlik gefidelt diventa Violonaj violonistoj
violone violonis... e poi si ha La tamburaj tamburistoj tamburade
tamburadis..., La cimbalaj cimbalistoj cimbaliste cimbaladis...
(1). Queste traduzioni rendono l'originale con
una fedeltà che le risorse del francese non possono offrire.
Temo che la Sua posizione su questo punto sia puramente a priori.
* * *
Ecco, caro professore,
quello che volevo dirLe. Spero che vorrà perdonare la lunghezza
veramente eccessiva di questa lettera. Sono cosciente che imporLe
questo penso oltrepassa i limiti della cortesia. La mia scusa è
che l'autore di un testo generalmente è interessato alle
osservazioni che può fargli un lettore che, dal proprio vissuto,
nota immediatamente dei fatti che l'autore non avrebbe potuto conoscere.
E poi, che vuole? Il tema mi appassiona! Se ha tempo, forse mi farà
l'amabilità di leggere un articolo che, pur partendo da considerazioni
molto più terra-terra, tratta sommariamente lo stesso tema
del Suo scritto: "quale lingua per la comunicazione internazionale,
in particolare nell'Europa in costruzione?" Questo testo, intitolato
«Linguistic
Communication - A Comparative Field Study», è anch'esso
accessibile all'indirizzo già dato qui sopra www.geocities.com/c_piron
(2). Ma capisco benissimo che Lei possa avere qualcosa
di meglio da fare, o che tutto questo non La interessi realmente.
Non Glie ne vorrò affatto, se Lei riterrà questa lettera
troppo lunga e rinunzierà a leggerla prima di arrivare fin
qui.
Voglia credere, Stimatissimo Signor Professore, ai miei migliori sentimenti, Claude Piron
____________
1. La
possibilità di combinare i monemi senza limitazioni è
un grande vantaggio per l'espressività. Avendo bisogno di
quattro sillabe per rispettare il ritmo, il traduttore avrebbe potuto
mettere cimbalade, sul modello di tamburade, la sfumatura
di senso essendo trascurabile in questo contesto. È chiaro
che ha scelto -rad- per il tamburo (avrebbe potuto mettere
tamburiste) e -list- per i cembali per evocare meglio
le sonorità dei due rispettivi strumenti.
2. La versione francese
è apparsa in Language Problems & Language Planning
(ISSN 0272-2690), vol. 26, n° 1, primavera 2002,
pp. 24-50.
Traduzione dal francese - Le parti che nell'originale
sono in italiano sono state scritte in corsivo.
26 luglio 2003
http://www.esperanto.it/html/fei/rivistaspeciale2003.htm
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