L'amore puó uccidere una lingua
Molti
politici tra cui Michel Rocard, ex primo ministro socialista di Mitterand ed ex
presidente della commissione Cultura del Parlamento Europeo , citano l’esempio
della Svizzera per sostenere che nell’Ue si possa convivere con più lingue. Ne
abbiamo parlato con Claude Piron, già professore alla Facoltà di Psicologia e di
Pedagogia dell’Università di Ginevra ed uno dei maggiori esperti della
comunicazione linguistica internazionale, studiata sul campo come traduttore
dall’inglese, cinese, spagnolo e russo presso l’Organizzazione Mondiale della
Sanità e le Nazioni Unite, ed autore di numerose opere e saggi di
interlinguistica.
- Secondo il
signor Rocard l’Europa potrebbe funzionare benissimo con più lingue come la
Svizzera convive benissimo con quattro lingue. Signor Piron, lei che è svizzero
ed esperto di comunicazione come reagisce a tale asserzione ?
- Il signor
Rocard sbaglia. Gli svizzeri sono riusciti a crearsi all’estero una bellissima
immagine del loro Paese comprendente tra l’altro la felice convivenza con lingue
diverse. E’ vero che in Svizzera, a differenza che in Belgio, si verificano
raramente grossi conflitti per questioni di lingua ma il quadro è meno idilliaco
di quanto lo dipinge il signor Rocard. Parlare di quattro lingue per esempio è
ingannevole. E’ vero che ufficialmente la Svizzera usa quattro lingue ma una
delle quattro, il romancio, non svolge alcun ruolo nei rapporti tra i cittadini
svizzeri.
- Il romancio, che io sappia,
è parlato da una ristretta minoranza che vive in una serie
di enclaves linguistici dei Grigioni, circondati perloppiù
da zone germanofone, con molte varianti e dialetti, quindi di scarsa
utilizzazione. Circa venti anni fa, per unificare queste numerose
varianti e rendere più resistente la lingua, si è
creato il “rumantsch grischun”, un’operazione simile a quella del
Landsmal di Aasen (1) ma ciononostante la quarta
lingua svizzera si va estinguendo, a quanto sembra.
- Generalmente
una lingua non sopravvive a lungo quando cessano di esistere le persone che
l’avevano come unica lingua e questa è la situazione attuale del romancio. Tutti
i membri della minoranza sono almeno bilingui, conoscendo molto bene sia il
tedesco (o meglio il dialetto svizzero-tedesco) che il romancio. Ma ciò non
basta per salvare il romancio.
- Si tratta
di un fenomeno del tutto nuovo ?
- Si abbastanza
nuovo. Due secoli fa il gruppo romancio viveva isolato senza molti contatti con
gli altri gruppi linguistici, ma con il tempo si sono avute enormi
trasformazioni di vita. Le bellezze naturali della regione finirono per attirare
i turisti per i quali si aprirono commerci, alberghi, industrie, creati da
imprenditori della Svizzera tedesca, che penetrarono sempre più con la loro
lingua nella regione. I giovani di lingua romancia capirono presto che fosse più
conveniente per loro studiare nella Svizzera tedesca per imparare così la lingua
perfettamente. Così per questo e per altri fattori gli abitanti della regione
diventarono sempre più misti. Subentrò allora un fattore decisivo: l’amore. E’
spiacevole dover affermare che proprio l’amore influì negativamente sulla vita
culturale ma è così. I giovani del gruppo romancio si innamorarono delle ragazze
di lingua tedesca e i giovani del gruppo tedesco delle ragazze del gruppo
romancio. Migliaia e migliaia di coppie. E la lingua parlata in famiglia divenne
per tutte le coppie il tedesco perché dal punto di vista economico in Svizzera è
importante sapere il tedesco, mentre se non si sa il romancio, anche nelle
regioni dove era la lingua tradizionale, non esiste alcun problema di natura
economica.
- Quindi, il
romancio non ha molta importanza. Restano comunque tre lingue in buona armonia.
- Apparentemente
sì. Però il peso economico della parte di lingua tedesca è enormemente maggiore
di quello delle altre due. Nei cantoni di lingua francese e di lingua italiana
vi è una maggiore disoccupazione appunto per questo motivo. Gli investimenti in
Svizzera vanno alla parte tedesca, non a quella francese. E si creano molti
problemi psicologici.
- A quali
problemi si riferisce ?
- Dipende dal
posto. Nelle regioni di lingua italiana impera spesso il tedesco. Mi è successo
più volte a Locarno che i camerieri si sono rivolti a me in tedesco e non in
italiano, senza pensare che potesse non essermi gradito di esser preso per uno
di lingua tedesca. I problemi psicologici in certe regioni sono collegati alla
sensazione di essere invasi, di non sentirsi più a casa nella propria terra e
quindi al senso di identità. Conosco molte persone nei cantoni di lingua
francese o tedesca che vivono costantemente con un complesso di inferiorità per
esser venuti da cantoni di lingua diversa, trasferiti per le circostanze della
vita, spesso per lavoro. Ciò vuol dire che nei contatti con la gente uno dei
coniugi non si sente mai a casa dal punto di vista linguistico, mai all’altezza
dei vicini, dei negozianti, delle persone che si incontrano. Parlare il francese
senza errori è molto difficile per uno svizzero di lingua tedesca che avrà
quindi sempre la sensazione di parlare male. I suoi rapporti con la gente non
saranno mai soddisfacenti come quelli con il suo gruppo linguistico.
- Perché dice
“uno dei coniugi”?
- Ho constatato
che molto spesso di una coppia che si è trasferita da un cantone diverso uno dei
due è più portato per le lingue e si adatta rapidamente. Che lo siano tutt’e due
ha statisticamente la metà delle probabilità e, naturalmente, esiste anche il
caso che nessuno dei due riesca a superare lo scoglio della lingua non materna.
In tal caso vivono tutt’e due con un complesso di inferiorità e si sentono
stranieri.
- Comunque,
dal punto di vista amministrativo, economico e politico la Svizzera è un Paese
che funziona nonostante la diversità linguistica. Ed arriviamo al punto
sostenuto da Rocard: si può prendere a modello la Svizzera per l’Europa di
domani ?
- Assolutamente
no. La Svizzera è in pratica un Paese trilingue. E le tre lingue sono tutt’e tre
di prestigio, diciamo. In Europa abbiamo finora venti lingue e tra queste ci
sono lingue che, benché bellissime e ricche, come il lituano, l’estone,
l’ungherese, lo sloveno, non godono di alcun prestigio, non sono conosciute
all’estero. Una situazione quindi del tutto diversa. Del resto il trilinguismo
costa molto alla Svizzera, compresi i conflitti come quello se insegnare a
scuola una seconda lingua del Paese o piuttosto l’inglese. Ma già la necessità
di tradurre tutto assorbe somme notevoli. Se le lingue dovessero essere venti i
costi diventerebbero insostenibili.
- Bisognerebbe necessariamente limitare il numero delle lingue da usare.
- Allora si
commetterebbe un’ingiustizia. Dal punto di vista democratico non sarebbe
fattibile. La parola è potere, come sanno tutti i politici, tutti gli avvocati o
il presidente Bush. Dare la possibilità ad alcuni sì ed altri no di esprimersi
correttamente, spontaneamente ed eloquentemente significherebbe introdurre una
falsa democrazia.
- E perciò, e
considerato che anche un numero ristretto di lingue crea problemi, negli
organismi europei si usa praticamente sempre più soltanto l’inglese. Un po’ come
avviene sui muri delle città svizzere coi poster pubblicitari sempre più in
inglese, buoni per tutti i cantoni risparmiando sulla traduzione. Usare solo
l’inglese non risolverebbe il problema in modo per tutti soddisfacente ?
- Niente affatto. La cosa concederebbe
agli anglofoni un privilegio ingiustificabile, tantoppiù
ingiustificabile in quanto gli inglesi non sono mai stati entusiasti
dell’adesione all’Europa e, ad esempio, non hanno aderito all’euro.
Lei sa che più di 700.000 studenti di lingue dell’Ue seguono
ogni anno un corso d’inglese in Inghilterra ? L’Inghilterra trae
un immenso vantaggio dalla fortuna di poter insegnare la sua lingua
a tanti stranieri. “English language teaching is very big business”
(l’insegnamento dell’inglese è un grossissimo affare) era
scritto una volta apertamente sul bollettino della Fiera di Londra
della Lingua Inglese (2).
- Se permette
ho anch’io una annotazione del genere che mi è rimasta impressa. Un lungo
articolo dell’Observer di circa due anni fa dal titolo compiaciuto “They ‘re
talking our language” (parlano la nostra lingua) iniziava così “L’Inghilterra
può aver perso un impero ma ha conquistato un pianeta”.
- Certamente. A
livello dell’istruzione superiore poi la pressione a favore degli studi in
università in cui si insegna in inglese è in continuo aumento. Nell’ultimo anno
gli europei erano più di 100.000 dei 550.000 studenti stranieri negli Stati
Uniti e 160.000 dei 220.000 studenti stranieri in Inghilterra. Dopo aver vissuto
in questi Paesi per un certo tempo gli studenti si permeano del modo di pensare
anglosassone e al ritorno sono portati a risolvere i problemi secondo la
mentalità anglosassone. E ciò è tantoppiù spiacevole in quanto gli studenti
appartengono all’elite economica, politica e culturale che può permettersi di
mantenere per anni i figli all’estero. Forse anche questo fattore ha contribuito
a portare il mondo verso modelli americani.
- C’è da dire
che le autorità dell’Ue ripetono in continuazione quanto sia importante studiare
altre lingue oltre l’inglese. Il Consiglio di Barcellona, ad esempio, ha
recentemente raccomandato agli Stati Membri di introdurre l’insegnamento di
almeno due lingue estere già dai primissimi anni di scuola.
- Vi è una
terribile contraddizione tra la teoria e la pratica. La teoria è che bisogna
incoraggiare lo studio delle diverse lingue d’Europa perché la diversità
linguistica costituisce una ricchezza culturale da proteggere assolutamente.
Anche la lingua romancia della svizzera costituisce ufficialmente una ricchezza
culturale assolutamente da salvaguardare ed oggetto di bei discorsi
appassionati. Ma la maggioranza dei linguisti che hanno studiato la situazione
ritengono che questa lingua non sarà più parlata fra due generazioni.. Stessa
cosa a livello europeo: i bei discorsi sullo studio delle altre lingue non sono
mai seguiti da decisioni effettive di qualche valore. La pratica favorisce
l’inglese sotto ogni punto di riferimento. Il novantacinque per cento degli
scolari “sceglie” l’inglese. E nessuno fa notare che di cento di essi soltanto
uno di media raggiunge un livello che gli consenta di trattare in modo non
troppo impari con un anglofono dalla nascita.
- Stando così
le cose sembra difficile uscirne fuori. Per superare i problemi di lingua da lei
prospettati non resterebbe, lasciando da parte il latino escluso già nel 600 da
Comenio, la soluzione di una lingua non etnica, non territoriale. Una specie di
esperanto, in sostanza, adatto alle esigenze dei tempi moderni, una lingua cioè
non soltanto per fare amicizia e scambiarsi sorrisi.
- Non una specie
di esperanto, ma l’esperanto. Soluzione ben sperimentata da una comunità
internazionale, non numerosissima ma estesa, in cui è risultato perfetto e non
solo per fare amicizia ma anche per lo scambio di informazioni di ogni genere.
Tra chi ha imparato l’esperanto tutte le lingue, culture, identità vengono
rispettate, non esistono problemi di comprensione e non è necessario andare a
studiare all’estero o investire migliaia di ore per mettere a mente delle
assurdità, come per esempio il fatto che in inglese ough si pronuncia in
quattro modi diversi –tough, though, through e cough. Con
sei mesi un discente medio acquista una capacità di comunicazione pari a quella
che avrebbe in inglese solo dopo sei anni, con lo stesso numero di ore
settimanali di studio.
- Ma non
sarebbe del tutto negativo imparare solo l’esperanto rinunciando
all’arricchimento culturale che dà lo studio di altre lingue ?
- Ma è proprio
quanto succede con il quasi monopolio dell’inglese. Sarebbe sufficiente che si
studiasse l’esperanto per un solo anno scolastico per risolvere in pochi anni
il problema della comunicazione degli europei . Nello stesso tempo si
libererebbero tante ore per studiare altre lingue. Nei successivi 5-6 anni i
giovani potrebbero imparare delle lingue scelte secondo i propri gusti e
inclinazioni culturali. In tal modo il latino, il francese, il tedesco, il
greco, il russo, l’arabo e altre importanti lingue di cultura ritroverebbero
nelle scuole un posto adeguato al loro valore culturale. Ora quasi
nessuno le studia più benché trascurare delle lingue importanti per privilegiare
l’inglese non porta ad una giusta soluzione del problema della comunicazione
internazionale.
- Professore,
lei ha detto sull’inizio parlando del romancio che una lingua non può vivere a
lungo quando non ci sono più dei parlanti monolingui, ma quelli che usano
l’esperanto sono almeno bilingui. Significa che l’esperanto è destinato presto a
scomparire ?
- Quello che ho
detto per il romancio vale solo per le lingue nazionali o regionali. Una lingua
usata solo per le comunicazioni internazionali si trova in tutt’altra situazione
Dal suo apparire sulla scena mondiale l’esperanto non ha mai cessato di
diffondersi, anche se molto lentamente. E in questo periodo poi si presenta
particolarmente vivace e creativo. Si guardi Internet. Una ricerca linguistica
indica che l’esperanto è addirittura più vivace del francese, che si è
terribilmente fossilizzato e crea difficilmente nuovi termini.
- Per
concludere, professore, pensa che la soluzione esperanto sarà mai adottata?
- Io credo di
sì. E’ facile paragonare obiettivamente la soluzione esperanto con gli altri
sistemi. Dal confronto si ha l’indicazione che si tratta del sistema con il
massimo di vantaggi per il massimo degli uomini e con il minimo di svantaggi. Il
suo rifiuto non si basa mai su un esame comparativo delle diverse opzioni. Le
persone che respingono l’esperanto non hanno mai assistito ad un dibattito
internazionale in esperanto (e fatto paragoni con quanto avviene nei consessi
internazionali), non l’hanno mai sentito usare da bambini che giocano, mai letto
qualcosa della sua letteratura. Un atteggiamento basato solo su preclusioni
irrazionali. Ma vi sono più segni di un cambiamento in atto nell’atteggiamento
soprattutto dei linguisti che una volta parlavano inorriditi di una lingua fatta
a tavolino. Secondo me si avvicina il momento in cui per il problema della
comunicazione internazionale si conosceranno con più chiarezza le varie opzioni
e le decisioni politiche saranno ispirate a criteri di razionalità. La soluzione
che verrà scelta sarà anche la più economica e la più rispettosa delle culture
nazionali. Quando i cittadini d’Europa saranno ben consci dell’esistenza di
diritti e doveri anche nel campo della comunicazione chiederanno che questi
vengano rispettati e i politici capiranno esser giunto il momento di mostrarsi
favorevoli all’opzione che la comunità reputa migliore.
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1. Ivar
Aasen, giovane glottologo dilettante,costruì attingendo dai
dialetti norvegesi nel 1850 il Landsmal (oggi detto Nynorsk o neonorvegese)
da contrapporre al Riksmal a base danese.
2. English
Language Fair, Newsletter n. 3 London, Barbican Centre, 22-24 ottobre
1984.
Giorgio Bronzetti Disvastigo,
agenzia specializzata sui problemi della comunicazione
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