L’Inglese prima
lingua nella Svizzera orientale: necessità o puro servilismo ?
Gli abitanti del
Quebec definiscono servilismo (più precisamente à-plat-ventrisme
- ventre a
terra) la tendenza a cedere sempre di fronte alla lingua inglese. E non
rappresenta un caso di mancanza di dignità la decisione di più cantoni
svizzero-tedeschi di insegnare l’inglese come prima lingua straniera ? Diciamo
subito che il fascino esercitato dall’inglese ci porta a comportarci come se
fossimo in un tunnel.
Ipnotizzati dal chiarore lontano,
non vediamo più quello che ci sta intorno. Così il presidente della Nissan, in
seguito agli accordi con la Renault, impone al suo personale di studiare
l’inglese “perché i dipendenti di entrambe le ditte dispongano di una lingua
comune” (Yomiyuri Shimbun, 17/4/2002). "I francesi conoscono l’inglese
altrettanto male che i giapponesi" ha chiarito. "Tuttavia l’inglese è
semplicemente una specie di programma informatico".
Affascinato dall’inglese, lui non
ragiona più. Che valore ha un programma informatico che ancora dopo sei anni non
si conosce appieno?
Si guarda come
definitivo il fatto che attualmente l’inglese è predominante. Quasi che ‘è un
fatto’ significasse ‘è un bene’. Se questo comportamento guidasse l’evoluzione
storica, la schiavitù esisterebbe ancora, e non ci sarebbero donne nel
Consiglio Federale svizzero. E’ più democratico porre la domanda: "Cosa è meglio
per tutti nel campo della comunicazione linguistica?"
Dunque, paragonando i
diversi metodi usati per superare le barriere linguistiche, si scopre un
‘programma’ più efficace dell’inglese: l’esperanto e tale si dimostra sotto ogni
aspetto: eguaglianza, scorrevolezza, precisione, semplicità fonetica, facilità
di apprendimento, etc. (Claude Piron, “Communication linguistique – Etude
comparative faite sur le terrain”, Language Problems and Language Planning,
primavera 2002, vol. 26, n. 1, pagg. 25-50; oppure in www.esperanto-sat.info, premere "Dokumentoj"; la versione inglese in
www.geocities.com/c_piron).
Effettivamente io ho parlato meglio
l’esperanto dopo sei mesi di studio che non l’inglese dopo sei anni pieni di
cose senza senso, dai quattro diversi modi di pronunciare ‘-ough’ in
‘tough’, ‘thoug’, ‘throug’ e ‘cough’ sino alle ingannevoli
derivazioni quali ‘hard’ > ‘hardly’ (ho appena corretto il testo di un
giovane che, volendo dire "ho lavorato duro" aveva scritto “I hardly worked”,
che significa "ho lavorato appena, pochissimo".
I miei contatti ovunque nel mondo confermano, che l’esperanto si presta meglio
dell’inglese alla comunicazione internazionale.
Certo, i detrattori non
mancano... E’vero, ma questi non hanno mai assistito ad un convegno in esperanto,
o visto de bambini usarlo nei loro giochi, o sfogliato una rivista in tale
lingua, né si sono informati da persone che usano sia la lingua di Shakespeare
sia la lingua di Zamenhof. Queste persone probabilmente sarebbero capaci di
criticare dei ristoranti in cui non sono mai entrate ed automobili che non hanno
mai guidato.
L’esperanto è
conosciuto poco e male (informazioni generali su http://www.esperanto.net).
Chi sa che è una delle lingue più
usate in internet dopo l’inglese?
Chi sa che è la lingua di una
considerevole produzione letteraria? Che le radio di Pechino e Varsavia
trasmettono programmi in esperanto più volte al giorno e radio Vaticano più
volte alla settimana? (programmi radio in esperanto: http://osiek.org/aera/)?
Chi sa che è una delle lingue
dell’Accademia Internazionale delle Scienze (http://www.ais-sanmarino.org)?
Chi che tra gli esperantisti vi sono sette premi Nobel ?
Che ogni giorno, da qualche parte
nel mondo, è la lingua di un seminario, un incontro culturale, un congresso (http://www.eventoj.hu/kalendar.htm)?
Che si trovano persone che usano
l’esperanto nella maggior parte delle città nella maggior parte dei Paesi,
perfino a Soweto, a Lomé ed a Ulan-Bator?
Che stimola l’interesse per le
altre culture e facilita l’apprendimento di altre lingue?
Che molti giovani usano la rete di
ospitalità gratuita organizzata dalle associazioni esperantiste (http://www.tejo.org/ps/)?
Evidentemente esistono vasti campi
della vita sociale che i mezzi di informazione ignorano completamente.
Ha senso che gli
svizzeri di lingua francese e quelli di lingua tedesca comunichino tra loro in
un inglese zoppicante, dopo sei anni di studio, sforzandosi di pronunciare suoni
che non esistono né in francese né in tedesco (“th”, etc.), mentre potrebbero
dialogare più piacevolmente in esperanto dopo qualche mese?
Se ovunque si facesse conoscere la
verità, cioè che di tutti i rimedi per distruggere Babele l’esperanto è quello
che dà i risultati migliori rispetto al piccolo investimento temporale,
intellettuale e finanziario (Claude Piron, “Le défi des langues”, parigi, L’Harmattan,
2° ediz., 1998, capitolo 11), la diversità linguistica diventerebbe quello che
alla fin fine è: una ricchezza, non un impedimento.
L’uomo è masochista.
Forse per ritrovare il senno perduto avremmo bisogno che un avvocato lanciasse
una denuncia collettiva all’americana contro gli Stati in nome di tutti quelli
a cui hanno imposto di sudare con l’inglese, quando invece esisteva un rimedio
più democratico, più efficace in rapporto al costo, più soddisfacente dal punto
di vista psicologico e culturale, del quale hanno evitato di informare i propri
cittadini.
In un tempo in cui
si sacrificano tanti posti di lavoro alla cosiddetta razionalizzazione, i
miliardi che assorbe l’insegnamento dell’inglese, e le migliaia di ore che
milioni di giovani ovunque nel mondo dedicano al suo studio, con risultati
pietosi, sono una chiara negazione del principio della razionalità. Per non
parlare della catastrofica influenza culturale che ha ovunque la diffusione del
“broken English”.
"Disvastigo",
agenzia specializzata sui problemi della comunicazione
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